Alla fine dello scorso settembre è esplosa una nuova fase di uno dei conflitti più duraturi dell’era post-Guerra fredda, quello tra l’Armenia e l’Azerbaijan. Le due ex repubbliche sovietiche, che si accusano a vicenda di aver provocato lo scontro armato, si trovano nel Caucaso meridionale, una regione montuosa strategicamente importante dell’Europa sud-orientale, un’area di confine fra Europa, Russia e Medio Oriente. Al centro di questo conflitto decennale c’è la regione del Nagorno-Karabakh (“Montagna-Giardino nero”), nota anche con il nome storico di Artsakh (in lingua armena).
Questa regione è riconosciuta a livello internazionale come parte della Repubblica dell’Azerbaijan, benché sia di fatto sotto controllo armeno. Il territorio è stato tradizionalmente abitato da armeni cristiani e turchi/azeri musulmani, e la maggioranza armena della sua popolazione ha da sempre determinato dei legami particolari con l’Armenia. In effetti, durante l’era sovietica, il Nagorno-Karabakh divenne una regione autonoma della Repubblica dell’Azerbaijan, e dal crollo dell’Urss in poi non ha mai smesso di far valere la sua ambizione di indipendenza dal governo di Baku. All’inizio degli anni novanta, e in particolare dopo la guerra tra Armenia e Azerbaijan, l’autorità indipendente di Artsakh dichiarò la sua dipendenza dall’Azerbaijan. Il Nagorno-Karabakh si definisce attualmente come uno Stato indipendente col nome di Repubblica dell’Artsakh, la cui capitale è Stepanakert, ma che non è riconosciuto a livello internazionale.
Gli armeni del Karabakh hanno ripetutamente chiesto il trasferimento del controllo della regione all’Armenia, tanto che il Parlamento regionale del Nagorno-Karabakh votò formalmente per entrarne a far parte dopo il crollo dell’Unione sovietica. Questa ambizione causò un conflitto sanguinoso tra Armenia e Azerbaijan che durò dal 1988 (persino prima del crollo dell’Urss) al 1994, concludendosi con un precario cessate-il-fuoco. Si stima che un milione di persone siano state sfollate e circa 30.000 siano state uccise a causa di questa guerra. I negoziati di pace avviati per risolvere questo prolungato conflitto furono mediati dal Gruppo di Minsk dell’Osce, istituito nel 1992 e presieduto da Francia, Russia e Stati Uniti. Il problema fu tuttavia risolto solo in teoria, dal momento che non si riuscì a concordare un vero trattato di pace. Questa fragile situazione è stata ulteriormente indebolita da una serie di sporadici conflitti – fra cui gravi scontri avvenuti nel 2016 – culminati nelle azioni militari su vasta scala avvenute negli ultimi giorni.
La tensione tra la Repubblica dell’Azerbaijan e l’Armenia ruota dunque attorno a un’area molto piccola e situata in una regione impervia, eppure il recente conflitto presenta delle caratteristiche tali da paventare il rischio di una guerra aperta che potrebbe coinvolgere potenze come la Turchia (un membro della Nato), alla Russia (una potenza nucleare) e l’Iran.
Guardando allo scontro locale fra i governi di Baku e Yerevan, l’Armenia sembra aver finora prevalso: l’Azerbaijan non è infatti mai riuscito a riconquistare le aree controllate dai separatisti. In altre parole, e la “Repubblica dell’Artsakh” è ancora al potere nella regione del Nagorno-Karabakh, rivendicando l’indipendenza dall’Azerbaijan.
Oltre alla “Repubblica dell’Artsakh”, nella zona del Caucaso e sempre nello spazio post-sovietico esistono altre due aree, la “Repubblica dell’Ossezia del Sud” e la “Repubblica dell’Abkhazia”, entrambe formalmente appartenenti alla Georgia e ma di fatto in una condizione di “conflitto congelato” per via di tensioni con radici etnico-religiose-territoriali e non sistematicamente risolte. La “Repubblica dell’Artsakh”, a differenza delle altre, è un’unità politica che sostanzialmente rappresenta la continuazione organizzativa della provincia del “Caucaso montuoso”, e ha goduto di una condizione di autonomia per circa 70 anni durante l’era sovietica, riuscendo a mantenere anche dopo la guerra tra Armenia e Azerbaijan il controllo del territorio e riuscendo a estendersi, negli ultimi anni, anche nelle aree dell’Azerbaijan sudoccidentale.
Sebbene il Nagorno-Karabakh sia popolato da una maggioranza armena, il governo di Yerevan non ambisce ufficialmente ad annettere la regione, ma sostiene le rivendicazioni di indipendenza degli armeni della “Repubblica dell’Artsakh” che per decenni hanno di fatto beneficiato prima di autonomia e poi di fatto di indipendenza. Il governo dell’Azerbaijan, invece, afferma che alcune parti del suo territorio siano state occupate dall’Armenia, e che la “Repubblica di Artsakh” è un tentativo di separare la regione e annetterla all’Armenia. In effetti, gli ultimi eventi nella zona hanno trasformato questo “conflitto congelato” in una guerra aperta.
La questione del Nagorno-Karabakh non è solo una controversia di confine, ma rappresenta per molti versi una crisi tale da chiamare in causa questioni di sicurezza energetica che interessano tutto il continente europeo. È da notare infatti la presenza di un oleodotto – il “Btc”, Baku-Tbilisi-Ceyhan – e di un gasdotto – il “Tanap”, o Trans-Anatolian Gas Pipeline – che dalla Repubblica dell’Azerbaijan arrivano in Europa, e attraversano entrambi aree molto vicine al confine delle aree contese, che di fatto costituisce attualmente la linea di fronte in un conflitto militare aperto. Escludendo l’Iran, la regione del Mar Caspio, ricca di petrolio e gas, ha solo due rotte di esportazione verso l’Occidente e i mercati globali: una attraverso la Russia e una attraverso il Caucaso. Il conflitto, pertanto, potrebbe mettere in pericolo queste due vie di approvvigionamento energetico.
Le tre maggiori potenze al confine con la regione dell’Artsakh – la Russia, la Turchia e l’Iran – hanno fin da subito cercato di dare una risposta alla situazione conflittuale, intervenendo nel dialogo per il mantenimento della pace. La Russia, alleata con l’Armenia e che ha delle basi militari nel territorio, ha buoni rapporti anche con la Repubblica dell’Azerbaijan, tanto da venderle degli armamenti, ma ha sempre cercato di mantenere un equilibrio nei suoi rapporti con i due paesi rivali. L’Armenia fa parte dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto), un’alleanza militare fra Stati ex-sovietici che – analogamente a quanto avviene in Occidente per la Nato – obbliga Mosca a difendere Yerevan in caso di attacco da parte di un altro paese. Recentemente la Russia ha tenuto colloqui di emergenza con entrambe le parti, con un’intensa mediazione che ha portato a un cessate-il-fuoco, in vigore da sabato 10 ottobre, anche se gli scontri sono continuati nelle zone di conflitto.
La Turchia, che sostiene apertamente la Repubblica dell’Azerbaijan, ha intimato all’Armenia di porre fine immediatamente all’“occupazione” della regione. L’Armenia ha accusato la Turchia di aver dato sostegno militare all’Azerbaijan, e in particolare di aver facilitato l’afflusso di milizie siriane tra cui figurerebbero anche formazioni jihadiste, ma questa affermazione è stata smentita dalle autorità azere.
L’Iran, che confina sia con la Repubblica dell’Azerbaijan che con l’Armenia, ha affermato che sta seguendo da vicino gli eventuali sviluppi e si è offerto di tenere dei colloqui di pace e di svolgere un ruolo di mediazione nella risoluzione del conflitto. Il governo di Teheran ha buoni rapporti con l’Armenia e coopera con essa in dozzine di progetti comuni, compresa la fornitura di elettricità. Nella prima settimana del conflitto, tuttavia, alcuni iraniani si sono riuniti nelle strade delle città di Zanjan e Tabriz – popolate in via maggioritaria da membri della comunità azera iraniana – a sostegno della Repubblica dell’Azerbaijan. Inoltre, nelle province iraniane dell’Azerbaijan occidentale e dell’Azerbaijan orientale (che a dispetto del nome si trovano proprio in Iran), e in particolar modo nelle città di Ardabil e di Zanjan, alcuni imam, in occasione della preghiera del venerdì, hanno sostenuto la posizione dell’Azerbaijan. Secondo l’agenzia di stampa Haghaye-ghe Ghafghaz, l’ayatollah Nouri Hamedani, l’autorità suprema del mondo islamico sciita, in risposta a una domanda da parte di alcuni fedeli azeri sulla questione del Nagorno-Karabakh, ha confermato la sua opinione secondo cui la regione farebbe parte del mondo islamico. In tutto ciò il presidente iraniano Hassan Rouhani ha avvertito che l’Iran non tollererà la presenza di combattenti stranieri e militanti siriani vicino al confine iraniano, affermando che “esplodere colpi di mortaio e di artiglieria nel territorio iraniano non è accettabile”, in riferimento a un episodio riguardante un villaggio iraniano raggiunto dagli scontri fra forze armene e azere.
In conclusione, la soluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh sembra dipendere non solo dagli sviluppi sul campo e dal confronto fra da azeri e armeni, ma anche dalle decisioni e dal sostegno delle potenze chiave nella regione come l’Iran, la Russia di Vladimir Putin e la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. Il Nagorno-Karabakh rischia dunque di diventare un ulteriore teatro di una competizione regionale che ha già avuto ripercussioni importanti per i conflitti in Siria e in Libia.
Shirin Zakeri